Il governo vuol ‘accorpare’ le festività civili. E non per un colpo di calore

19 08 2011
No soppressione festività civili

"No soppressione feste civili"

(immagine tratta dal blog: http://soppressionefestecivili.blogspot.com/)


Sarebbe meno preoccupante se si potesse imputare alle calde temperature la causa per cui, tra luci ed ombre presenti nelle misure anti-crisi approntate in questo mese di agosto dal governo Berlusconi, sia stata proposta quella di accorpare (ma si potrebbe dire anche “accoppare” e comunque sopprimere, de facto) le festività civili del nostro Paese, (insieme a quelle dei Santi Patroni e già San Gennaro a Napoli non è d’accordo, per così dire) in modo che “le stesse cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica” (art. 1, comma 24 del Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138).

Sono quelle di celebrazione laica di avvenimenti storici, in ordine da calendario: il 25 Aprile, il 1° Maggio, il 2 Giugno; le date che hanno significato la Liberazione dal Fascismo, il valore del Lavoro e la scelta di democrazia costituzionale della Repubblica.

Purtroppo non è quello il motivo; lo è, invece, la volontà già più volte espressa di sminuire la considerazione degli eventi che hanno arriso all’Italia ma non, fatte le proiezioni storiche, al pensiero settario dell’attuale governo.

Si pensi a cosa succederebbe nell’opinione pubblica se, per esempio, in Francia si decidesse di spostare la festa nazionale del 14 luglio ad un altro giorno, precedente o successivo.

Peraltro, l’introduzione di tale disposizione non sembrerebbe poter produrre rilevanti ricadute economiche vantaggiose; anzi, potrebbe aversi una contrazione di consumi, come fanno notare gli operatori del turismo, con conseguenze dannose per il motore dell’economia nazionale.

Ma la questione è anche di principio, di identità e riconoscimento dei valori fondanti della nostra storia democratica e memoria civile.

Tra le voci di contrarietà espresse in rete, a sostegno della posizione espressa dall’“Anpi”, l’Associazione “Articolo 21” ha lanciato un appello, con raccolta di firme, “contro l’abolizione delle feste del 25 Aprile, del 2 Giugno e del Primo Maggio; alcuni docenti universitari promuovono a loro volta un appello, anche attraverso una pagina Facebook, con petizione per il “No alla soppressione delle feste civili”. Altre iniziative, come la petizione della CGIL, stanno nascendo.

Sperando in un suo rinsavire e in uno scatto d’orgoglio nazionale perfino in questo governo, continuerei ad ogni modo a festeggiare i tre bellissimi eventi storici nelle loro rispettive date reali e originali.





Elezioni 6 e 7 giugno 2009: al voto !

5 06 2009
Elezioni europee giugno 2009

Elezioni europee giugno 2009

L’impegno personale nel seguire la campagna elettorale per le elezioni europee e in misura minore per la Provincia di Napoli non mi ha lasciato tempo per aggiornare il blog sull’andamento della stessa.

Non volendo usare questo spazio per dare indicazioni precise sul voto, invito semplicemente ad andare alle urne; una possibilità che possiamo usare, come la campagna di comunicazione istituzionale del Parlamento europeo ci ha suggerito nelle ultime settimane, con il motto “Usa il tuo voto” (“It’s your choice” nella versione inglese). Diversamente dalle ultime politiche, alle elezioni europee possiamo, oltre che barrare un simbolo di partito o di lista, esprimere al suo fianco fino a 3 preferenze, scrivendo i nomi e cognomi o solo i cognomi dei candidati di quella lista o partito.

Il piano di comunicazione istituzionale del Parlamento europeo per l’intera Ue è stato rifiutato e dunque non applicato nel nostro Paese dal Governo Berlusconi che ha invece prodotto propri spot allo scopo, duole pensare, di orientare politicamente la scelta di voto. Uno di questi ha avuto per testimonial una delle ragazze oggetto di note conversazioni telefoniche tra Saccà e Berlusconi. Ci sono anche state polemiche sugli spot per quanto riguarda le informazioni sul diritto di voto, attribuito “ai cittadini italiani che hanno compiuto i 18 anni”; dimenticando di rendere noto che i comunitari residenti nel nostro Paese, cittadini di altri Paesi dell’Ue, se inseriti in tempo negli elenchi elettorali, possono votare in Italia. 

Apprezzabile l’inchiesta partecipativa sulla pratica selvaggia dei manifesti elettorali abusivi, dossier fotografico raccolto sul sito Fai Notizia.

Come ampiamente prevedibile, si è parlato poco di Europa e per lo più da un punto di vista nazionale, con qualche eccezione.

Per gli indecisi, sulla rete è possibile testare la propria affinità con le forze politiche che si presentano alle elezioni europee grazie ad alcuni siti. Segnalo EU Profiler, anche se non l’ho trovato molto convincente perché l’esito, personalmente, mi è sembrato troppo orientato da una singola domanda, secca, sulle intenzioni di voto. Un’altra simulazione è su Vote Match Europe. Le issues sono anche qui piuttosto semplificate ma il test, diversamente dal precedente, indica una scelta che nelle urne non possiamo fare, tra gruppi politici europei. Non dunque sulle formazioni politiche italiane che si presentano alle elezioni europee. E’ interessante però confrontare la propria posizione su ogni tematica con quella di ogni gruppo europeo ed il comparare il proprio risultato con quello, aggregato in percentuale, degli altri internauti partecipanti.

Poi c’è sempre l’Euro-politometro di Repubblica e il suo speciale elezioni 2009 che resta un puntuale riferimento per seguire lo spoglio e i risultati, così come i siti istituzionali del Ministero dell’Interno – Speciale elezioni e quello del Parlamento europeo.

Al voto dunque!





Dimesso Veltroni, si dismetterà il Pd ?

20 02 2009
D'Alema-Veltroni

D'Alema-Veltroni

Veltroni dimesso da segretario del Partito democratico. E’ questa la notizia che ha prevalso nel panorama dell’ informazione mainstream del 18 febbraio. In un Paese a democrazia vigente e con maggiore informazione indipendente, ci si aspetterebbe la massima attenzione sulla notizia riguardante la condanna dell’avvocato Mills, reo di corruzione per falsa testimonianza in due processi (“Tangenti alla Guardia” di finanza e “All Iberian”) che vedevano coinvolto, come co-imputato della controparte e dunque a rigor di logica nel ruolo di corruttore, il Presidente del Consiglio-padrone di Fininvest. Ma siamo in Italia, il lodo Alfano approvato dal Governo ad orologeria esclude dai processi penali le più alte cariche dello Stato e, determinato mesi fa lo stralcio della posizione del Premier, non c’è finora garante della Costituzione che tenga.


L’informazione nostrana si adegua
e contrariamente ai giornali stranieri, che comprensibilmente parlano della vicenda processuale che riguarda Berlusconi, l’attenzione si è concentrata sulle dimissioni del cosiddetto capo dell’opposizione. Con il suo gesto dotato di uno ‘straordinario’ tempismo politico-strategico, Walter Veltroni è riuscito a modificare l’agenda dei media facendo passare in secondo piano una notizia negativa per la sua controparte politica, che dovrebbe essere rappresentata da Berlusconi. Forse l’ultimo ‘regalo’ in stile ‘Veltrusconi’ al principale esponente dello schieramento avverso, dopo aver tenuto una linea incerta anche in giorni recenti in cui l’opinione pubblica discuteva solo del caso Englaro e quasi per nulla delle leggi liberticide contro le intercettazioni, della riforma della giustizia penale e di altre nefandezze di cui oramai ci sfugge. Passata ancor più inosservata l’approvazione al Senato della riforma della legge elettorale per le europee, già licenziata dalla Camera, con soglia di sbarramento al 4%; frutto di un accordo tra le principali forze politiche già presenti nel nostro Parlamento allo scopo di tenere fuori dall’ Europa le altre formazioni politiche che già sono fuori qui. In questo caso, la strategia della distrazione di massa ha funzionato anche a vantaggio del Pd che potrebbe attutire, è questo il suo unico scopo, l’erosione di voti e consenso.

Pur tenendo conto della preminenza del calendario nello sfascio di cui scrive Lucia Annunziata, tutto il Paese, forse metà di esso, almeno alcuni, sono intenti a chiedersi cosa ne sarà di questo partito-contenitore. Se sarà dismesso, vale a dire scisso o se il solo cambio del timoniere determinerà, secondo l’abilità strategica del suo gruppo dirigente che si sta rivelando così ‘vincente’, un proficuo prosieguo della joint-(ad)venture tra margheritini, diessini e rispettivi codazzi.

Se ci sarà solo un cambio nominale di leadership la questione potrebbe perfino ripresentarsi sotto spoglie peggiori, come accanimento terapeutico e con il defluire del veltrusconismo nel ‘collaborazionismo’ dalemiano, il cui uomo simbolo oggi come in altre occasioni si defila per non essere annesso alla parte dello sconfitto; indicativa l’assenza di D’Alema ed anche quella di Rutelli alla conferenza stampa d’addio di Veltroni, dove invece era presente il resto dell’establishment del partito. Se, al contrario, avverrà una scissione, l’identità misconosciuta di parti degli elettorati originari che lo hanno composto potrebbe ritrovarsi.

D’altronde, il Pd che si era dato come mission quella di rappresentare l’unione dei riformisti, riformista non è mai stato e sembra inoltre aver consumato quelle personalità che riteneva essere le migliori risorse di leadership. Facile nutrire dubbi che la terapia di recupero del consenso sia quella d’individuare un ennesimo commissario-segretario ad acta da mettere a capo del partito. Tra le ipotesi di guida a tempo determinato, risulta al momento favorita quella di Franceschini; altre di più lungo raggio portano i nomi di Bersani e Renato Soru, che nella sconfitta in Sardegna ha ottenuto più consenso personale di quanto gliene abbiano dato i voti ai partiti che lo hanno sostenuto, (il dato dovrebbe essere significativo ma si dubita che al loft sappiano trarne un’attenta analisi politico-elettorale) ma il problema è fondamentalmente un altro, sempre lo stesso e che si trascina da anni: il rapporto interno tra i capi bastone del Pd e il potere di autorità che questi saranno disposti a delegare a colui che ne verrà nominato nuovo segretario. E’ il segretario il leader del partito o i veri leader sono coloro che gli remano contro, bisognerebbe anche chiedersi ad ogni tornata della battaglia tra perdenti. Leggi il seguito di questo post »





Cossiga e Berlusconi, il metodo fa scuola. Terrorismo di Stato

1 11 2008

berlusconi_cossiga

Nella corrente legislatura, esponenti del Governo e non solo ne stanno dicendo e facendo così tante e di tal maniera che risulta arduo tenerne il conto; tanto più farlo con tempestività, in modo calmo e riflessivo. Siamo in pericolo costante di essere travolti da una frana, da cui si cerca anzitutto di tenersi al riparo per poi provare ad indagare sulle cause, tra le quali le più evidenti nei casi in oggetto: autoritarismo e instaurazione di quello che testi di diritto costituzionale definiscono “Stato di polizia”.

Qualcuno s’illudeva che l’ennesimo Governo Berlusconi, la sua legislatura sarebbe stata diversa rispetto ad un passato recente che troppo presto, invece, c’è chi tende a dimenticare. Gli anni regnanti del berlusconismo hanno dimostrato che molti italiani, purtroppo, hanno la memoria corta.

Qualcuno si aspettava dal Berlusconi IV un maggiore fair play “istituzionale” se si permette il termine (“legislatura costituente” come millantato da alcuni offende il termine prossimo di Costituzione che di per sé già soffre d’inosservanze e trascuratezza quotidiane, di provenienza anche inaspettata) ma, al contrario, non ci si può distrarre un attimo: legge elettorale per le elezioni europee, norma salva-manager, nuova Alitalia sullo sfondo e, naturalmente, scuola e università sugli scudi.

Qui si sta cercando, peraltro, di trattenere l’impeto di taluni propositi estemporanei di commento ai fatti e alle parole di questi giorni riconducendolo nell’alveo del diritto di critica e di opinione, ad evitare conseguenze che seguirebbero su chi dovesse scrivere parole a caldo, sulla scorta di una comprensibile e non anomala onda emotiva.


Arrivati al termine di una settimana terribile, proviamo a riassumere accadimenti e dichiarazioni dei giorni scorsi.

Nel clima di crescente insoddisfazione che attraversa l’intero Paese malgrado l’accecato ottimismo pubblicitario del Cavaliere, la tensione alimentata dallo stesso Governo a cui spetterebbe il compito di attutire il sentiment collettivo con metodi verbali democratici è sfociata in alcune affermazioni che varrà la pena rimarcare; non per soffiare sul fuoco della tensione ma a testimonianza e a futura, auspicabile memoria di un risentimento nel senso di appartenenza ad un Paese in cui ci si sente costretti, anche nella propria piccola parte di cittadinanza attiva, a chiedere quotidianamente il rispetto di princìpi democratici fondamentali che in un cosiddetto Paese normale, democratico, dovremmo dare per scontato.

A questi ultimi ideali princìpi accludiamo il dissenso politico di piazza verso il Governo partito dalla manifestazione dell’11 ottobre dell’Idv e della Sinistra contro il lodo Alfano e le politiche del Governo e proseguito sabato 25 ottobre a Roma con la manifestazione promossa dal Pd di Veltroni.

Premesso il successo di entrambi gli eventi, nella seconda, al di là delle consuete polemiche spicciole sul numero dei presenti al Circo Massimo e sulla partecipazione complessiva nelle strade della Capitale, usanze che fanno parte di una politica dell’annuncio televisivo che poca attenzione merita, speriamo di poter vedere una via di ripresa anche se un po’ tardiva per un partito che è sembrato in più occasioni assente in quello che dovrebbe essere il suo ruolo di opposizione. E’ evidente che la partecipazione avuta, quali che siano i numeri reali, è ulteriore espressione di un dislivello tra la cosiddetta militanza e lo stile verticistico-dirigenziale del Pd.

Ricordiamo come un trait d’union che alla manifestazione democratica del 25 ottobre hanno aderito altre forze politiche che fanno opposizione, coerentemente con il proprio ruolo nel panorama politico e civile come l’Italia dei Valori ed il suo Presidente Antonio Di Pietro che hanno condiviso l’iniziativa dei promotori e vi hanno preso parte proseguendo inoltre, con i propri banchetti, nella raccolta di firme contro il lodo Alfano e per terere un referendum abrogativo. Lo strumento referendario è ora invocato dallo stesso Pd a seguito dell’approvazione del decreto legge Gelmini, aggiunto alla prima proposta dell’Idv. D’un tratto, il referendum viene rinobilitato da Veltroni, dopo essere stato da lui trascurato sul lodo Alfano.

Di tutt’altro tenore, dunque anti-democratico, erano state le dichiarazioni del Presidente del Consiglio nei confronti delle trasversali manifestazioni di piazza contro l’approvazione poi avvenuta il 29/10 al Senato del Ddl 1108 a firma del Ministro Gelmini di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1º settembre 2008, n. 137. Alle parole pronunciate il 22 ottobre da Berlusconi in una conferenza stampa sulle occupazioni delle università, in cui il Premier dichiarava: “Non permetteremo che vengano occupate scuole e Università [..] Convocherò il Ministro degli Interni e darò a lui istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine [..] “ hanno fatto seguito, il giorno successivo 23 ottobre, dichiarazioni-tentativi di smentita di Berlusconi da Pechino, :”Io non ho mai detto né pensato che la polizia debba entrare nelle scuole”; il caso dovrebbe restare a lungo nei media come esempio di pura falsità e negazione verbale dell’evidenza.

Si dubita che i Tg abbiano riproposto la prima conferenza stampa per sbugiardare i pericolosi propositi affermati; (ad esempio, il Tg1 serale del giorno della smentita rinviò ecumenicamente al proprio sito internet ma Sky Tg24, invece, ne fece la comparazione) sulla rete e qui è possibile trovare le registrazioni per avere conferma di affermazioni chiaramente pronunciate.

E’ scandaloso che un Presidente del Consiglio si permetta di negare ciò che i servizi giornalistici hanno registrato e possono provare insindacabilmente; un atteggiamento non nuovo e che persiste quale presa in giro nei confronti di tutti gli italiani e non solo della categoria dei giornalisti e dei giornali, additati nei giorni successivi come elementi di diffusione di falsità, fomentatori di odio etc. (Certamente non per casi come questo, con registrazioni audio-video di una conferenza stampa; non soffriamo di una sindrome collettiva di allucinazioni)

A fomentare l’odio e motivare i facinorosi si è arrivati ancor più con un articolo pubblicato lo stesso 23 ottobre, presente anche sul sito informativo istituzionale di Rassegna stampa del Governo. Ci riferiamo alle altre parole che lasciano esterrefatti, contenute in un’intervista rilasciata dal senatore a vita ed ex Capo di Stato Francesco Cossiga ad Andrea Cangini del Quotidiano Nazionale. La rassegna stampa del Governo che riporta l’intervista a Cossiga differisce (ammorbidisce) in alcuni punti da altre fonti precedentemente diffuse anche dalle agenzie di stampa. E’ operazione lunga ricostruire il giallo delle versioni ritoccate e permane il dubbio che la versione on-line attuale, presente anche in altra pagina dello stesso sito istituzionale, sia stata “corretta”, limata in alcuni punti. In altre versioni c’è un “picchiare a sangue”, frase che nelle pagine web del Governo non è (più?) presente.

Quale che sia la versione integrale ed originale, si possono dare per certi alcuni cosiddetti “consigli” dati da quell’emerito Kossiga al Ministro Maroni, quali il mandare tutti gli studenti in ospedale, picchiare i docenti e le giovani maestre, infiltrare agenti provocatori nelle manifestazioni studentesche, frasi che costituiscono un’evidente istigazione alla violenza ed un’invocazione del terrorismo di Stato. Leggi il seguito di questo post »





Una bella Piazza Navona, solo un po’ “sporcata”. E letta a due piazze

11 07 2008

 

Foto prelevabili e riproducibili su indicazione dell’autore e della fonte, come da Licenza. Per casi specifici, contattare l’autore

 

I media l’hanno ribattezzata “No-Cav Day” e molti commentatori hanno ripreso questa definizione: un primo effetto domino informativo che, per (ir)responsabilità giornalistica, ne ha già fatto oggetto di un sensazionalismo di rete.

E così che occorre fare un po’ di chiarezza su quella che con un flusso variegato di commenti è oramai e-leggibile come manifestazione a due piazze, anche se di Piazza Navona a Roma e di manifestazione di cui si parla, ve n’è in realtà una sola.

Ora che si ha modo di farlo ed in prima persona, abbandonando l’abituale affidarsi (e non fidarsi) ai racconti romanzati dei grandi media.

Ho partecipato alla manifestazione dell’8 luglio indetta dalla rivista Micromega e che ha visto tra gli organizzatori e promotori il suo direttore Paolo Flores D’Arcais, il senatore del Pd Furio Colombo, i deputati dell’Idv Francesco Pardi e Antonio Di Pietro e a cui hanno aderito diversi partiti politici (Italia dei Valori, sempre più unica opposizione in Parlamento, poi Sinistra Democratica, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani) e loro singoli esponenti e sostenitori, (tra cui il Pd) movimenti come quello dei girotondi, intellettuali e comici.

Una manifestazione non solo politico-partitica come qualcuno vorrebbe far credere per scopi strumentali ma una piazza eterogenea di condivisione dei princìpi della legalità, della legge uguale per tutti, generale e astratta, come dovrebbe essere. Un moto d’indignazione verso le iniziative del Governo Berlusconi in materia di giustizia.

Ho partecipato in quanto provo ad essere, riuscendovi in parte, un cittadino attivo ed informato. Per questo credo che leggi come la cosiddetta “blocca-processi” (oggi emendata in quanto non più necessaria a Berlusconi grazie al rapido passaggio del lodo Alfano approvato alla Camera) contenuta nel pacchetto sicurezza (che contiene anche la norma sulle impronte ai Rom bocciata dal Parlamento europeo in quanto misura xenofoba su base etnica, contraria ai diritti fondamentali dell’uomo) e il cosiddetto “lodo Alfano” (lo scudo per le alte cariche dello Stato) siano dannose per il Paese. Se consideriamo siano proposte dal Governo presieduto da Silvio Berlusconi, il quale riveste un’alta carica istituzionale per cui chiede impunità ed è imputato in un processo di cui vuole il congelamento, trascinandone altri riguardanti “reati minori” (classificazione discutibile) allora il dovere del senso civico e morale e il principio del rispetto della legalità, le due questioni cruciali e problematiche del nostro Paese, sostengono il peso e rovesciano la critica di definizioni giornalistiche erronee sui manifestanti come semplicisticamente “anti-berlusconiani” e “giustizialisti”.

La manifestazione di Roma non è stata un insuccesso; è riuscita e di successo, con alcune fuoriuscite che l’hanno sporcata ma non scalfita nella sua pienezza. Se i grandi media non lo fanno, è opportuno che che vi abbia partecipato faccia opportune precisazioni. Fare di tutta l’erba un fascio, come fanno i più importanti quotidiani ed editorialisti distorcendo l’informazione complessiva, non serve che a riempire colonne e a disconoscere la bontà di un giudizio veritiero. Leggi il seguito di questo post »





Cittadini europei. Lontani dall’Europa del Trattato

30 06 2008

 

Sono giorni in cui il Paese del pallone assorbe la delusione provocata dall’anziana Nazionale agli Europei, per opera di rigore dei vicini spagnoli poi vincitori del torneo conclusosi ieri. Alcuni giorni fa anche l’Eurostat, l’ufficio statistico europeo, ha contribuito al confronto affondando il coltello acquistato da Berlusconi alla televendita e diffondendo stime preoccupanti che evidenziano la posizione dell’Italia tra le ultime della “vecchia Europa” (vale a dire prendendo in considerazione i primi 15 Paesi Ue pre-allargamento) per il valore del prodotto interno lordo pro-capite, che per il 2007 ha visto aumentare il divario dalla Spagna arrivando a 6 punti percentuali, (107 a 101, fatta base 100 la media dell’Ue) lasciandoci alle spalle solo la Grecia e il Portogallo.

 

Segnali plurimi di arretramento in Europa. Ma le riflessioni che da alcune settimane più si concentrano sulla tematica europea, spesso trascurata nel dibattito pubblico e dei media, riguardano il suo piano istituzionale e politico. A seguito di una nuova frenata, stavolta pervenuta dall’Irlanda, al processo di ratifica del Trattato europeo di Lisbona e dell’impatto sul suo prosieguo. Il celebre motto “uniti nella diversità” sembrerebbe al momento declinabile in “divisi sulle difficoltà”.     

 

 

Focalizzare l’attenzione sulle reazioni al no irlandese del 12 giugno, giorno in cui il 53,4% dei votanti il referendum si è espresso contro la ratifica del Trattato di Lisbona, invita inevitabilmente a leggere non solo il tentativo, da parte dei principali leaders istituzionali europei, di minimizzare e considerare l’outcome negativo come un incidente di percorso, circoscritto all’1% della popolazione europea ma anche il rinfocolare di un sentimento, più diffuso di quanto gli alti gradi vogliano lasciar credere, o credere loro stessi, di contrarietà al compimento di un processo costituzionale europeo che vede nell’entrata in vigore della sua Carta fondamentale il momento della sua realizzazione. La seconda lettura ci indica l’esistenza di un respiro più ampio del polmone irlandese e che consiste in dubbi permanenti e sottesi verso il riconoscimento di un Trattato di regole non sufficientemente chiare, quantomeno non pienamente legittimate secondo il senso della partecipazione più democratica. Perplessità rimaste temporaneamente sospese negli ultimi due anni, dopo il doppio no referendario di Francia e Olanda del 2005 e il conseguente periodo di riflessione e che si sono potute riaffacciare alla prima, nuova misurazione del consenso diretto da parte di un popolo e non dunque attraverso la delega dei suoi rappresentanti.

 

L’esito del referendum irlandese non ha colto di sorpresa gli analisti; è però plausibile pensare che anche le istituzioni europee avessero coscienza di tale possibilità e che a questi timori fondati non sapessero far fronte se non con la scelta di un metodo di ratifica in sordina, per via parlamentare. Difficile seguire altre vie più partecipate e condivise, devono aver pensato, data la priorità all’imponenza dell’impianto giuridico-istituzionale europeo di ben 27 Paesi. Significativa la difficoltà e oggetto di polemica una dichiarazione, resa nei giorni precedenti la consultazione popolare, dal Commissario europeo al mercato interno Charlie McCreevy secondo il quale il testo sarebbe di difficile lettura per il cittadino comune, in ammissione di averlo letto personalmente solo per sommi capi.

 

Tenuto al confine di un ambito territoriale nazionale (qui una contraddizione dal sapore nazionalistico maggioritario nell’ambito altrimenti ideale comunitario espresso generalmente dall’Unione) il timore, pur coscienzioso, del rigetto di un referendum, di un Paese sui Ventisette, non aveva mosso le alte gerarchie istituzionali all’elaborazione di un piano B forse perché decise nel voler perseguire il piano stabilito ad ogni costo, fino anche al sacrificio, probabile e plausibile, del criterio dell’unanimità della ratifica. Pur comprensibile perché, dopo l’arrendevolezza manifestata nei compromessi al ribasso raggiunti in sede di stesura del documento, come le clausole opt-out rese a Gran Bretagna e Polonia sul valore giuridico altrimenti vincolante della Carta dei diritti fondamentali e i tanti protocolli aggiuntivi tesi a soddisfare i vari interessi nazionali, come ancora per la Polonia il sistema di voto con clausola compromissoria cosiddetta di Ioannina, i rappresentanti europei non ritenevano opportuna l’elaborazione di nuovi ed ulteriori piani alternativi, con il rischio di minare la riuscita e l’immagine dell’impianto complessivo del progetto.

Lecito pensare ora e in tempi meno sospetti, che la modalità di ratifica en passant per via parlamentare sia stata frutto di un ragionamento strategico teso a celare e respingere le sacche di contrarietà che albergano in non pochi Paesi.

 

Alla luce del no irlandese e del deludente vertice europeo del 19 e 20 giugno, in cui si è deciso di non decidere, le attuali prospettive del Trattato mostrano dunque elementi d’inquietudine. Leggi il seguito di questo post »





Princìpi e Istituzioni di politica bipartisan, con un po’ di razzismo

20 05 2008

 

Tre sono i punti focali attorno ai quali si sta sviluppando il dibattito politico e il conseguente flusso informativo degli ultimi giorni; l’uno legato ai prevedibili orientamenti parlamentari della nuova legislatura, a questi si associano altrettanto designati scenari pessimistici sul panorama dell’informazione pubblica, il tutto condito da un crescente clima d’intolleranza proveniente dalla cronaca. Tre questioni che dovrebbero riportare alla mente alcuni temi dell’ultima campagna elettorale che hanno infine contribuito al conseguente esito.

Tanta legna al fuoco da ascrivere al vento politico e all’informazione parziale ad esso legata. Tanto fuoco in Campania, tra rifiuti rovesciati in strada e dati alle fiamme da certi pezzi di popolazione e molotov incendiarie di gentes che, armata da chi sa chi, avrebbe voluto fare carne alla brace dei Rom nel quartiere napoletano di Ponticelli. Un’ondata xenofoba e razzista che dal territorio napoletano sembra montare mediaticamente al punto tale da farla assurgere a “emergenza-nomadi” nazionale e problema principale del Paese. Ma di quale emergenza si parla? Si dovrebbe parlare di emergenza quando fenomeni contingenti si susseguono fino a manifestazioni di diffusione a macchia; un tentativo circoscritto di sequestro di minore non può essere elevato a fenomeno esteso tale da dichiarare un’emergenza. E’ questo uno degli esempi di manipolazione dell’informazione come prodotto di una pessima politica che detta la propria agenda, in parte ancora elettorale, ai media. Un’informazione che, eludendo criteri di notiziabilità giornalistica, quasi non considera che in questi stessi giorni una giovane rumena sia stata violentata a Roma da un italiano. E che neppure precisa che i Rom, il nuovo nemico dell’abominevole via italiana alla legalità, non sono da identificare tout court come rumeni. (Che sono degli immigrati provenienti dallo stato comunitario della Romania)

Nell’innegabile successo della Lega all’ultima tornata elettorale, appare ineludibile il manifestarsi concreto di un sentimento generalizzato di caccia all’immigrato ma, forse, non ci si aspettava, per di più nel periodo post-elettorale, che la “caccia allo straniero” sarebbe stata terreno di propaganda anche per un partito dell’opposizione, di cui i manifesti anti-Rom di una sezione di quartiere del Partito Democratico di Napoli hanno dato prova. Gioco forza l’effetto prende vigore dalle parole di Filippo Penati, esponente del Partito Democratico e presidente della Provincia di Milano, che non appena saputo che il commissario straordinario per l’emergenza-Rom, Gian Valerio Lombardi, avrebbe distribuito i Rom in tanti piccoli campi nell’hinterland ha sbottato: «Così partiamo con il piede sbagliato. Si deve prevedere l’espulsione dei cittadini comunitari indesiderati. Gli elenchi sono già pronti o manca pochissimo. Facciamo pulizia dei delinquenti, questo deve essere il primo impegno del commissario». Diventa più difficile credere che il manifesto piddino resti un pensiero isolato all’interno del partito dopo che anche un manifesto verbale, da Napoli a Milano, reclama l’espulsione perfino di cittadini comunitari, in senso contrario alle norme di libera circolazione dell’Ue e del Trattato di Schengen, ribadite nella loro pienezza dalla Commissione europea. In considerazione della volontà sempre più evidente di negare ruolo e normative dell’Ue, è da accogliere positivamente la proposta formulata dal Pse e appoggiata dai Verdi europei di un dibattito al Parlamento europeo sulle misure europee e sopratutto italiane anti-Rom.

Aggiornamento: resoconto del dibattito tenutosi al Parlamento europeo sulla situazione dei Rom in Italia e in Europa.

Misure e discussioni che continuano a riscuotere critiche dalla stampa internazionale e dal Governo spagnolo. “Il governo spagnolo, ha sottolineato il numero due dell’esecutivo, Maria Teresa Fernandez de la Vega, le cui frasi sono riportate da El Mundo on line, respinge la violenza, il razzismo e la xenofobia e, pertanto, non può condividere ciò che sta succedendo in Italia”. Il Ministro degli Esteri italiano Frattini, nell’intento di non attirare scontri tra diplomazie e ulteriori critiche, ha parlato di un chiarimento aggiungendo che le dichiarazioni del vice-premier spagnolo “non hanno mai voluto riferirsi direttamente alle misure del governo italiano in materia di regolamentazione dell’immigrazione clandestina e non volevano esprimere nessun elemento critico rispetto al pacchetto-sicurezza che il governo si appresta a varare”. Ma l’articolo di stampa, nella versione originale o nella sua traduzione, risulta più credibile e che l’esponente del Governo spagnolo si fosse espressa propriamente sull’Italia lo si poteva intendere del tentativo di correzione dell’informazione attuato anche dalla Farnesina. Ad ulteriore conferma, le frasi pronunciate da un altro Ministro spagnolo, Celestino Corbacho, Ministro del Lavoro e dell’Immigrazione: “Le politiche sull’immigrazione del governo italiano pongono l’accento piu’ sulla discriminazione del diverso che sulla gestione del fenomeno. Il governo italiano, dice Corbacho, vuole criminalizzare il diverso mentre io mi assumo la responsabilità di governare il fenomeno”. Ricordiamo che era stato in un primo tempo Berlusconi, durante la campagna elettorale, ad esprimersi negativamente sulla composizione a suo parere troppo rosa del Governo spagnolo, suscitando critiche già da parte del Ministro dell’Uguagliana, Bibiana Aido, che si era detta disposta a pagare uno psichiatra per il premier italiano, forse ascoltando Grillo e il suo “psiconano”.

Cercando di delineare un quadro di riferimento, le questioni di questi giorni sembrano essere in parte riconducibili ai comuni denominatori espressi dal titolo, ossia ai princìpi che stanno ispirando le rinnovate istituzioni. Da una parte, princìpi d’istituzione di un clima nuovo, di buonismo tra il Governo, presieduto da Berlusconi e parte dell’opposizione, guidata dal segretario del Pd, Veltroni e da un’altra, princìpi di un malcelato razzismo e d’intolleranza. Leggi il seguito di questo post »