Quali requisiti richiede il giornalismo investigativo? Coraggio, tenacia, tempo e soldi, contatti, fortuna? E davvero può fare la differenza? L’incontro parte dal lavoro investigativo dei due giornalisti americani Eisner e Royce autori del libro The Italian Letter che ha svelato il ruolo dei servizi segreti italiani nella preparazione del documento (rivelatosi poi un falso) che ha in parte scatenato la guerra in Iraq.
Ne discutono:
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Peter Eisner, vice caposervizio esteri The Washington Post
- Duilio Gianmaria, inviato speciale Tg1
- Peter Gomez, inviato speciale L’Espresso
- Dennis Redmont, docente della Scuola di Giornalismo Radio Televisivo di Perugia (moderatore)
- Knut Royce, vincitore per 3 volte del Premio Pulitzer
L’introduzione di Redmont lancia un’affermazione-appello di speranza, di sopravvivenza. Il giornalismo d’inchiesta è vivo e vegeto, perlomeno in America. Certo, non si può dire che allo stato attuale goda dello stessa attenzione ricevuta in passato su particolari vicende, ma certamente non è scomparso. In Italia uno dei problemi è dato dalla scarsità di mezzi a disposizione e dalla concorrenza su internet, dove spesso le notizie si rincorrono, a volte provocando un flusso disordinato quando non fuorviante.
Il lavoro investigativo di Eisner e Royce, autori del libro “The Italian Letter” è stato di estrema importanza per tale settore e per ciò che ha svelato e ha reso noto agli occhi di tutti. Il lavoro ruota intorno a 16 parole pronunciate da Bush in un discorso del 2003 sullo stato dell’Unione (degli Stati Uniti d’America) e in un documento nel quale si diceva che Saddam Hussein aveva comprato uranio dall’Africa. La pista delle indagini portò in Italia e si è scoperto poi che a quel documento avevano contribuito i servizi segreti italiani (Sismi). L’obiettivo del giornalismo investigativo è quello di trovare i fatti, reali, la ricerca della verità e il libro in questione ha aperto un vaso di Pandora, creando un calo di popolarità per il Presidente Bush e facendo scorgere le responsabilità di altri governi e di alti funzionari nella falsificazione di prove, allo scopo di giustificare l’intervento armato in Iraq dell’amministrazione Bush e dei governi alleati.
Peter Eisner parla del libro incontrando difficoltà nel distinguere tra giornalismo d’inchiesta e giornalismo di reporting; si può parlare di una sorta di giornalismo narrativo. L’obiettivo di quel lavoro era dimostrare, semplicemente, che quell’affermazione di Bush era una menzogna. Le fonti d’intelligence dell’amministrazione Bush si basavano solo su una lettera del Presidente del Niger che avallava la vendita di uranio all’Iraq. Ma il documento era falso, individuato prima dell’invasione dell’Iraq e molti responsabili della stessa intelligence americana dichiararono successivamente che non c’erano armi di distruzione di massa.
L’Iraq aveva già delle discrete forniture di uranio e questo era noto all’intelligence americana. Furono manipolati i documenti per far credere di più di quanto ci fosse. Inoltre si disse che il governo britannico e la sua intelligence avesse più informazioni sugli apparati iracheni ma non è dimostrato vero, non era vero.
L’intelligence italiana (Sismi) si è rifiutata di collaborare, dicono i due autori ed è sembrata inoltre avere poche informazioni. In Italia è difficile ottenere informazioni che le istituzioni non vogliono far avere.
Redmont chiede se si paga un prezzo in Italia per avere informazioni. Ci sono colleghi e giornali che pagano l’informazione, risponde Gomez. Lui stesso ha ricevuto offerte in qualche caso, spiega, ma ha sempre rifiutato di pagare denaro. Pagare è anche un sistema per lavorare poco, oltre che un atteggiamento scorretto, non professionale.
Gomez poi comincia un excursus molto interessante sulle vicende che hanno visto coinvolti uomini del Sismi, nei loro rapporti sottobanco con uomini politici, soprattutto del centrodestra e in primis di Berlusconi. Parla del Generale Pollari che nel 2001, al vertice del Sismi, si avvaleva della collaborazione di Pio Pompa. Con l’avvento di queste due figure il metodo prevede che le informazioni false vengano fornite direttamente alla stampa. Il vecchio capo dei servizi segreti italiano venne sostituito perché durante il suo periodo sembrava si volesse diffondere la notizia che durante il G8 di Genova 2001 ci fossero estremisti di destra infiltrati tra i black block.
Renato Farina è un personaggio chiave della vicenda e andrà in Parlamento, eletto nelle file, ovviamente dice Gomez, del centrodestra. Ci sono rapporti particolari, privilegiati e scorretti tra alcuni giornalisti, che scrivono anche sui periodici di proprietà di Berlusconi e uomini dei servizi segreti, ribadisce. Emergono tante figure di giornalisti e personaggi come Farina che erano d’accordo con i servizi segreti.
Nel 2007 Renato Farina ha patteggiato una pena di 6 mesi di reclusione per favoreggiamento nel sequestro di Abu Omar, l’imam egiziano rifugiato in Italia, sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003 dalla Cia con l’aiuto del Sismi, trasportato nella base americana di Aviano e di lì deportato in Egitto, dove fu torturato per sette mesi. Farina, attivato dal Sismi per depistare le indagini con notizie false e persino per scoprire che cosa sapesse del sequestro la Procura di Milano accetta di andare a «intervistare» i due procuratori aggiunti che se ne occupano, Armando Spataro e Ferdinando Pomarici. Non per pubblicare le loro risposte sul suo giornale, ma per carpire loro informazioni utili sull’inchiesta e metterli fuori strada nelle indagini. Per questi fatti e per i compensi in denaro (almeno 20 mila euro) ricevuti dal Sismi, Farina è stato anche espulso dall’Ordine dei giornalisti, ma continua a scrivere su Libero con un contratto da impiegato. (Le informazioni su Renato Farina sono tratte dal libro “Se li conosci li eviti” di Marco Travaglio e Peter Gomez)
Gianmaria mette in evidenza come il sistema politico italiano non arrivi a un sistema di sanzioni verso il ruolo sociale del giornalista. E spiega quali sono i nemici del giornalismo investigativo in tv: la velocità, l’emozione, la ripetitività. Amici invece sono il tempo, (più se ne ha a disposizione e meglio è per il giornalismo d’inchiesta) il ragionamento che non si lega al ritmo televisivo emozionale del momento, l’esclusività, la memoria. Si avverte la necessità di un meccanismo virtuoso tra la politica e l’informazione ma il loro rapporto, come si sa, è distorto.
Royce conviene sul fatto che il giornalismo d’indagine richieda tempo e denaro, per cui ai direttori e agli editori non piace molto sviluppare questo settore perché lo vedono con scarso ritorno economico. Inoltre in America i freni sono dovuti alle molte cause in corso verso i giornalisti d’inchiesta, con costi legali sostenuti e che non invogliano all’impegno verso quest’attività.
Eisner dice che il giornalismo d’indagine vuol trovare modalità che spingano la gente a capire di più le problematiche. C’è debolezza negli Usa anche nell’andare indietro a storie, nel seguirle fino in fondo. E le “storie” dice Gomez nascono propriamente dal giornalismo investigativo. Il settore resta una nicchia che un editore che sappia vedere lontano potrà far sopravvivere.
Infine Gianmaria, riprendendo auspici anche di Gomez, si appella al bisogno di creare gruppi di giornalisti con anticorpi ed educare il pubblico alla critica sociale. Nei servizi pubblici, nella Rai prima di tutto e più in generale nel mondo dell’informazione, ci vuole responsabilità sociale.
L’excursus di Gomez, la sua narrazione dei fatti reali nascosti al grande pubblico sono esemplari, per un giornalismo libero non vincolato all’editore né al servizio di potentati. Gli applausi ripetuti che la platea gli dedica sono meritati, segno che la speranza di un giornalismo non assoggettato ai poteri forti ma libero nelle idee e alla ricerca della verità, come richiesto anche da Grillo (citato da Gomez per le sue iniziative per la verità ed anche per la prossima prevista per il 25 aprile) può ancora essere forte.
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